Vita e morte del barone Giovan Jacopo dell’Acaya

ACAYA- Jovan Jacopo dell’Acaya nasce nell’anno 1500 da Alfonso VII e Maria Francone figlia del barone di San Donato.

Alla morte del padre Alfonso il 14 febbraio 1521,eredito’ il feudo di Segine (l’odierna Acaya) che comprendeva Galugnano, Sternatia, Struda’, Pisignano, Vanze, Acquarica e metà delle Terre di Vernole.

In quegli anni il Salento era governata dal brillante Marchese Alfonso Castriota-Granai, la cui vicinanza fu determinante per la carriera di Jovan Jacopo nella Corte di Napoli.

Il giovane Jovan Jacopo meriterà questa fiducia, anche per aver messo a disposizione soldati e cavalli nel 1528 contro i francesi che volevano occupare il Salento.

Dopo la vittoria, l’imperatore Carlo V gli affidò la supervisione del programma delle opere difensive in tutto il meridione.

Questo incarico gli venne dato anche per il suo progetto di Cittadella fortificata nella sua Segine, con ingrandimento del perimetro dovuto alle numerose famiglie sopraggiunte dai paesi vicini,strade perpendicolari e sei baluardi circondati da profondi fossati terminata nel 1535.

Altri progetti saranno eseguiti dal 1546 in castelli a Napoli,Sorrento, Capua, Crotone,Cosenza e  Lecce terminato nel  1559.

Inoltre supervisionò la costruzione di tutte le torri costiere nel sud.

Sposato con  Margaritella Montefusco, figlia di Giovanni Antonio barone di Ugento da cui nacquero Gervasio IV (morto molto giovane) , Giovannello che indossò il saio dei Francescani frati minori osservanti nel convento a nord est della cittadella, poi Giulia e Adriana.

Rimasto vedovo sposò nel 1563 Marfisa Paladini, figlia di Luigi Maria Barone di Campi, da cui nacquero Antonio Francesco, Francesco Maria, Isabella e Giovannella.

Altri figli naturali e riconosciuti fuori dal matrimonio con l’acaiese Rebecca De Mitri furono Manilio e Cassandra.

Chiaramente il suo capolavoro fu la cittadella che da Segine rinominò Acaya.

Oltre il nome della sua casata, diede anche quella sicurezza dagli assalti dei saraceni, che tanto aveva fatto soffrire la popolazione nei tempi passati.

La tranquillità del barone terminò il 2 novembre 1569,quando con una lettera commissariale datata 6 settembre il notaio Pandolfo, il Regio giudice Orazio Petrosino si presentarono sotto Porta Terra per contestare un debito verso la Regia Corte di 5000 ducati a causa di una fidejussione fatta a favore di Roberto Pandolfini, ma che venne meno ai suoi impegni.

I testimoni furono il sindaco di Acaya  Arcone de Oyra, l’arciprete di Acaya don Ambrosio Turco e altri cittadini.

Jovan Jacopo non riuscì a pagare la somma e il 2 dicembre il Commissario Mercadante prese possesso del feudo di Acaya.

Furono sequestrati inoltre 25 botti di vino, 150 pecore, 2 giovenche, 3 cavalli, cereali, tutta la biancheria, le sedie e i tavoli.

Il barone Jovan Jacopo venne inoltre rinchiuso nel carcere del castello Carlo V di Lecce da lui stesso progettato, dove gravemente malato morì il 6 dicembre 1570.

Di lui rimangono le sue tante opere in tutto il regno e soprattutto quella a cui era più affezionato,cioè la sua Acaya, la cittadella fortificata del Salento, unico esempio in tutto il meridione e inserita tra le ” Cinque città ideali del Rinascimento italiano”

Solo il 23 settembre 1714  Acaya venne espugnata dai sarceni… 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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