ACAYA- Quando l’etnologo Ernesto De Martino nel 1959 giunse nel Salento per la sua ricerca sul fenomeno
del tarantismo, che poi elaborò nel libro “La terra del rimorso” si soffermò soprattutto sui casi che avvenivano nella chiesa di San Pietro e Paolo di Galatina.
Non si può non tenere conto però dei riti che si svolgevano ad Acaya ,l’altra capitale del Tarantismo e la sua chiesetta di San Paolo, era un luogo frequentato dai tarantati di questa zona del Salento.
Come scrisse De Martino nel suo libro-documentario:
“la Terra del rimorso o del cattivo passato che torna e opprime col suo rigurgito l’Italia meridionale e in particolare il “Salento”, definì questi riti come sfogo di una esistenza precaria, ma che alla loro comparsa nel medioevo avevano una funzione di esorcismo musicale all’aperto, in luoghi dove era presente una fonte di acqua e alberi intorno e i naturalisti del ‘700 collegarono questi rituali all’avvelenamento per morso della tarantola o ad una forma di melanconia (oggi si direbbe depressione)”.
Tornando ai riti di Acaya,questi si svolgevano per un arco di tempo più lungo rispetto a Galatina.
Praticamente questi riti iniziavano in primavera e terminavano ben oltre l’estate.
La frequenza era così alta, che c’erano dei musicisti fissi per questo scopo tutti i giorni ,composti da donne suonatrici di tamburrello e organettisti-fisarmonicisti maschi.
Come scrive il prof. Antonio Fasiello nel libro “Cronaca della taranta”,esiste anche un brano di pizzica-pizzica o pizzica tarantata eseguita in 4/4 chiamato “Pizzica di Acaya” e che veniva suonato durante i riti nella chiesetta di San Paolo.
Diversamente da Galatina, i riti delle tarante ad Acaya riguardavano sia uomini che donne (a Galatina erano solo donne) .
Altra cosa ancora più interessante era che questi avvenivano dopo il morso della taranta che introducendo il veleno dava ai malcapitati una irrefrenabile voglia di ballare.
Quando i parenti o conoscenti accompagnavano il tarantato o la tarantata nella chiesetta, i musici iniziavano a suonare dando il via al rituale del ballo, che spesso venivano agganciati ad una fune legata al soffitto oppure lasciati liberi di compiere movimenti frenetici sull’altare.
I tarantati provavano attrazione per i colori vivaci (verde-giallo-rosso) e come affermò in una intervista uno degli ultimi tarantati di Acaya,Luigi Cervelli (classe 1904),era necessario trovare “il filo” affinchè il ballo potesse avere effetto e cioè associare un certo movimento al tipo di “Taranta” responsabile del morso,difatti ne esistono diverse razze in natura.
Una volta che questi movimenti avevano fatto scomparire il veleno dal corpo attraverso la sudorazione, il rito terminava.
Questo stimolo al ballo poteva ripresentarsi l’anno dopo, avviando così un rito ciclico tipico del fenomeno del tarantismo.
Gli ultimi riti documentati del tarantismo avvenuti nel borgo di Acaya, risalgono alla fine degli anni ’70.
La tradizione di onorare San Paolo il 29 di giugno nel borgo di Acaya è ancora viva e ogni anno la notte della vigilia un gruppo di suonatori , fanno risuonare con tamburrelli, chitarre e fisamoniche quelle antiche musiche in onore di quegli uomini e quelle donne che morsi da una Tarantola, diedero vita a uno dei miti più affascinanti del mondo.