ACAYA- Durante il baronato di Giovan Jacopo Dell’Acaya,vide la luce da famiglia albanese Belisario Corenzo nel 1558.
Fù proprio il barone Giovan Jacopo a scoprire l’arte di Belisario e molto probabilmente lo incoraggiò a trasferirsi a Napoli,capitale del Regno, dove la famiglia Dell’Acaya possedeva un palazzo.
Fonte Wikipedia:
Si trasferisce in giovane età a Napoli. Nel 1609 i benedettini gli affidarono la decorazione delle volte della navata, del transetto e del coro della chiesa dei Santi Severino e Sossio, dove aveva dipinto anche alcune cappelle. Fra queste gli va verosimilmente ascritta – in accordo con Bernardo De Dominici[1] e la letteratura periegetica napoletana – la decorazione della cappella Medici di Gragnano, con le Storie di San Benedetto, Mauro e Placido (ante 1593)[2], tra fastosi motivi ornamentali a stucco, ancora oggi pienamente apprezzabile. Lo schema della volta medicea – uno scompartimento mediano raccordato da quattro pannelli rettangolari ai lati – dovette senz’altro essere recepito nell’ambiente locale come maturo tassello del discorso brillantemente iniziato a Napoli vari decenni prima da Giorgio Vasari e portato avanti nella Certosa di San Martino da un’intera nuova generazione di artefici provenienti dal grande crogiolo culturale della Roma di Papa Sisto V[3].
Nel 1615 affrescò la volta lunettata dell’abside della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Nel 1629 affrescò la cupola di Montecassino (persi per il bombardamento del 1944). Del pari perduti sono gli affreschi di una galleria del Palazzo Capuano di Portici, distrutti a seguito dell’abbattimento della stessa, al fine di fare luogo all’attuale via Libertà.
Operò per molti anni nella chiesa di Santa Maria la Nova (ne affrescò il soffitto). Creò quattro sue tele in Santa Maria del Popolo (Natale, Epifania e Presentazione, Riposo in Egitto). Nell’interno della chiesa di Santa Patrizia ci sono dipinti di questo pittore mentre alcuni affreschi sono ancora visibili nel Castel Capuano, dove il pittore operò agli inizi del XVII secolo, come risulta da cedole di pagamento rinvenute presso l’archivio storico del Banco di Napoli.
Nel “Tempietto” della basilica di Santa Maria a Parete, in Liveri (NA) il Corenzio dipinse due affreschi, il più grande dei quali, posto nella parte destra, raffigurante scene sulla Danza della morte, sul Giudizio, l’Inferno ed il Paradiso. Altre pitture sono invece a Nola, presso la Chiesa dell’Annunziata.
Morì tragicamente nel 1646 cadendo da un ponteggio nella chiesa dei Santi Severino e Sossio, dove è sepolto, mentre ritoccava gli affreschi del transetto.